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Il papa e il preservativo. Un filosofo cattolico ci scrive

 

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Giovanni Onofrio Zagloba
cortesía L'Espresso Blog de  Sandro Magister

 

Caro Magister,

le parole del papa sull’uso del preservativo contenute nel libro intervista a Peter Seewald “Licht der Welt” hanno destato sensazione. Alcuni le hanno salutate come una provvidenziale attenuazione della posizione tradizionale di chiusura sulla contraccezione, altri vi hanno visto un tradimento della dottrina cattolica sulla sessualità, altri ancora hanno cercato di minimizzarle sostenendo che il papa non ha in realtà detto nulla di nuovo. Lei ne ha (a mio parere giustamente) sottolineato la novità e la positività. Il problema è il seguente: in cosa consiste tale novità e positività? A me sembra che il papa si sia comportato come quello scriba del Vangelo che trae dal suo scrigno “cose vecchie e cose nuove”. Le sue parole ci offrono una prospettiva nuova per vedere la dottrina di sempre. Dicono insieme di più e di meno di quello che alcuni interpreti vi hanno voluto vedere. Questa volta il papa si è espresso in un linguaggio colloquiale, non tecnico. Questo rende più difficile ai teologi capire la portata esatta delle sue parole, ha però anche il vantaggio di raggiungere direttamente ed efficacemente l’uomo comune. Vediamo più in dettaglio di cosa si tratta.

QUELLO CHE IL PAPA HA DETTO

Cerchiamo prima di tutto di collocare le affermazioni del papa nel loro giusto contesto. La domanda di Seewald riguarda il viaggio in Africa del papa e la risonanza che ebbero le sue parole quando disse che davanti al dramma dell’AIDS il condom non è la soluzione. Si rimproverava alla Chiesa di essere lontana dal dramma dell’AIDS e addirittura di essere responsabile del diffondersi della malattia a causa del suo rifiuto del preservativo. Nella intervista il papa non rinnega nulla di quanto allora ha detto. La Chiesa è vicina ai malati di AIDS, ne rispetta la dignità e ne condivide la pena. Circa un quarto dei malati di AIDS nel mondo sono curati in istituzioni cattoliche. Il condom però non è la soluzione. La soluzione è la astinenza prematrimoniale e la fedeltà coniugale. Una coppia di sposi fedeli è isolata dal contagio. La cultura della sessualità responsabile è la vera risposta all’AIDS. Le campagne di propaganda del profilattico hanno il difetto di dare per scontato che la fedeltà coniugale sia impossibile e che le relazioni sessuali non possano essere contenute all’interno di una norma morale. Il presupposto di quelle campagne è che la persona non possa controllare la propria sessualità e che non abbia nemmeno un obbligo morale di farlo. È la cultura del “one night stand”. Vai a letto una notte con uno, e quella dopo con un altro. Insieme con quella cultura si diffonde inevitabilmente anche l’AIDS e l’uso del condom può certo ritardare questa diffusione ma non impedirla. A prescindere dall’AIDS quella cultura crea solitudine e disperazione umana ed è il contrario della cultura della famiglia e del lavoro di cui l’Africa ha bisogno per crescere.

Ai giovani la Chiesa dirà non di usare il condom ma di evitare i rapporti prematrimoniali. Alle coppie la Chiesa non dirà di usare il condom ma di essere fedeli. Ma cosa dirà la Chiesa alle prostitute? Qui inizia il problema a cui il papa vuole rispondere.

C’è stata, a questo proposito, una polemica nella polemica che riguarda la traduzione del testo del papa. Il papa ha usato l’espressione “Prostituierter” che il traduttore italiano ha tradotto con “prostituta”. Qualcuno ha osservato che la parola, in tedesco, è di genere maschile. La differenza non è di poco conto. Se un transessuale usa il condom in un rapporto omosessuale passivo l’uso, evidentemente, non può avere né una finalità né un effetto contraccettivo e quindi il papa, dicendo che in tale caso il prostituto fa bene ad usarlo non solo non direbbe nulla di nuovo ma non direbbe neppure nulla di interessante. In realtà mi sento di difendere il povero traduttore italiano che si è trovato davanti ad un compito impossibile. Nel dizionario tedesco la parola “Prostituierter” non c’è. Neppure nel Duden (il grande dizionario che fa testo). C’è però il verbo “prostituieren”, prostituirsi. “Prostituierter” è il participio passato maschile di “prostituieren”. Indica dunque un maschio? Non necessariamente. Il participio passato ha una funzione aggettivale, bisogna dunque vedere di che sostantivo è aggettivo. In questo caso l’aggettivo è sostantivato e il sostantivo quindi non è espresso. È chiaro in questo caso che il riferimento è ad un uomo che si prostituisce. In tedesco , però, esistono due parole che significano “uomo”. Una di esse è “Mann” (uomo maschio) e l’altra è “Mensch” (essere umano, maschio o femmina). Il papa voleva dire “ein prostituierter Mann” oppure “ein prostituierter Mensch” ? Non sappiamo. Il traduttore si è trovato davanti a un compito impossibile. Forse avrebbe dovuto tradurre “un essere umano di sesso maschile ma forse anche di sesso femminile”. Traduzione evidentemente improponibile. Si è deciso a tradurre con “prostituta”. Non lo condanneremo. Conforta la sua scelta il fatto che il papa parla chiaramente di un uso del condom moralmente significativo e anche il fatto che il papa fa riferimento (un poco avanti nel testo) alla teoria “ABC” in tono cautamente positivo o almeno senza condannarla. Cosa dice questa teoria, sviluppata in ambito secolare sulla base della esperienza sul campo? Prima di tutto dice di non avere rapporti sessuali fuori di una scelta di comunità di vita coniugale. A sta per “abstinence”. Una volta stabilita questa comunità di vita dice di essere fedeli. B sta per “Be faithful”.Se proprio non ci riesci (per esempio perché fai la prostituta) almeno usa il condom. Sui primi due punti sembrano non esserci problemi per la morale cattolica. Cosa dire sul terzo?

Proviamo a svolgere il ragionamento del papa. Se fai la prostituta il tuo primo problema morale non è certo il condom ma la prostituzione. Se proprio non riesci a tirartene fuori almeno usa il condom in modo da non mettere a rischio la tua vita e quella dei tuoi clienti. L’uso del condom rimane in sé peccaminoso e nessun cambiamento viene apportato alla dottrina tradizionale. È tuttavia un peccato meno grave dell’omicidio o del tentato omicidio, del suicidio o del tentato suicidio che commetteresti accettando un rapporto non protetto. Per questo, come dice esattissimamente il papa, può essere un primo passo verso un recupero della coscienza morale. Esistono peccati più gravi di altri? Non c’è dubbio, lo attesta una lunghissima tradizione che risale a san Tommaso ed oltre. Erano gli stoici ma non i cristiani a sostenere che tutti i peccati sono eguali. Ad un amico devo sempre indicare la vita della virtù. Se però (per il momento) non riesce a seguirla faccio bene a consigliarlo almeno di evitare le colpe più gravi. Non c’è nessun cambiamento dottrinale. C’è una intelligente lettura pastorale che ha conseguenze di grande rilievo, per esempio, per il politico che deve decidere in materia di campagne di propaganda anti AIDS oltre che per tutti quelli che hanno il compito di orientare altre persone (genitori, educatori ecc…). Non posso dire al mio popolo che il condom è la soluzione. Devo parlare prima di tutto di astinenza e di fedeltà. Però posso (devo) dire anche: se proprio non ce la fai usa almeno il condom.

QUELLO CHE IL PAPA NON HA DETTO

Il papa non è in alcun modo intervenuto sulla polemica suscitata dall’articolo di Martin Rhonheimer che giustifica l’uso del condom nel caso di rapporti in cui un coniuge sia malato di AIDS. Il referente delle parole del papa è la prostituta, quello della argomentazione di Rhonheimer il coniuge. Rhonheimer applica la nota teoria del doppio effetto dell’azione. Nel mettere il preservativo io ho una finalità: proteggere il coniuge dal contagio. L’azione ha però due effetti: protegge dal contagio ma evita anche il concepimento. Un effetto è voluto, l’altro invece no. Io sarei lieto di poter avere un bambino ed il fatto che il concepimento non avvenga non è il fine verso il quale è rivolta la mia volontà ma la conseguenza non voluta, anche se prevedibile, di una azione che mira a salvaguardare la salute del coniuge. Io sono responsabile delle conseguenze intenzionali del mio atto e non di quelle non intenzionali (anche se prevedibili). Sulla tesi di Rhonheimer vi sarebbero molte cose da dire ma qui ci accontenteremo di segnalare il fatto che su di essa il papa non prende posizione. Né a favore né contro. Parla di un’altra cosa e da un’altra prospettiva.

QUELLO CHE POSSIAMO PENSARE

Ma non ha proprio nulla da dire il papa al coniuge di un malato di AIDS? La domanda non gli è stata posta e quindi il papa non ha risposto. È però possibile cercare di applicare il criterio che il papa ha usato anche a situazioni differenti. Lo si fa, naturalmente, a proprio rischio e pericolo e senza in alcun modo impegnare l’autorità del papa. Il criterio è, lo ricordiamo, che ci sono colpe maggiori e colpe minori, c’è un più e un meno anche nel peccato. Sulla base di questo criterio dovremmo dire al coniuge del malato che il Signore lo chiama a una difficile croce, a una particolare unione alla croce di Cristo. Dovremmo però anche dirgli che avere rapporti non protetti è peggio che avere rapporti protetti e se non riesce a compiere interamente il dovere morale cerchi almeno di non mettere in pericolo la vita propria e quella della persona amata.

Il principio è naturalmente estensibile ad altre situazioni che non hanno nulla a che fare con l’AIDS.

Nell’adulterio ciò che è sbagliato non è l’uso (eventuale) del preservativo. È sbagliata la relazione sessuale con una persona che non è il proprio coniuge. Evitare che da quella relazione nascano dei figli può essere preferibile al fatto di aggravare ulteriormente la situazione con la procreazione di un bambino fuori del matrimonio.

E cosa dire della procreazione di un numero di figli chiaramente superiore a quello che siamo in grado di allevare ed educare? È anche questo un male maggiore rispetto all’uso di strumenti anticoncezionali?

UN ALTRO MODO DI PENSARE

In poche parole, il papa ci ha aperto uno spiraglio su di un modo nuovo (e tradizionale) di pensare i problemi della teologia morale. La argomentazione del papa sembra essere consequenzialista ma non lo è.

Sembra essere consequenzialista perché ci invita a fare un bilanciamento di mali morali. È meglio (rectius: meno peggio) rischiare il contagio o proteggersi con il preservativo? È meglio proteggersi. Ci sono mali peggiori dell’uso del preservativo. L’etica consequenzialista ritiene che la valutazione morale dell’azione sia interamente dipendente da una considerazione delle conseguenze dell’azione stessa. Spesso le conseguenze non sono né solo buone né solo cattive. Bisogna allora fare un bilanciamento degli effetti buoni e di quelli cattivi. Se uccidendo una persona innocente ne salvo altre dieci allora il bilanciamento è positivo e l’uccisione di quella persona va considerata come buona. Per l’etica consequenzialista non esistono azioni che di per sé (a prescindere dal bilanciamento delle conseguenze) possano essere considerate buone o cattive.

All’etica consequenzialista si oppone l’etica della coscienza che ritiene che alcune azioni siano cattive di per sé e indipendentemente da qualunque considerazione delle conseguenze. Esse sono “intrinsice mala” e non possono mai essere accettate. La qualifica morale dell’atto non dipende (solo) dalle conseguenze ma, primariamente, dalla sua natura propria. Il dibattito sulla “Humanae vitae” è stato dominato in larga parte dal confronto fra queste due scuole teologiche.

La posizione del papa non è consequenzialista perché per lui non ci sono dubbi sul fatto che la contraccezione artificiale è intrinsecamente cattiva, sempre e in ogni caso, e non può mai essere buona. Alcune azioni (e la contraccezione è una di queste) hanno una loro natura intrinseca che comporta una valutazione morale.

Come mai allora il papa introduce un argomento consequenzialista? Lo fa perché (correttamente) la valutazione delle conseguenze è importante per determinare il grado della responsabilità morale.

Facciamo un esempio lontano dalla discussione sulla “Humanae vitae”. L’uccisione di una persona umana è sempre un male, è in un certo senso il prototipo dell’ “intrinsice malum”. Esiste però una differenza fra il serial killer e il boia che esegue la pena di morte contro di lui, specialmente se non ci sono carceri sicure in cui detenerlo impedendogli di nuocere. Non diremo che il boia fa bene ma non lo metteremo nemmeno sullo stesso piano con il serial killer. Il male rimane male ma alcuni mali sono peggiori di altri. Il male minore rimane sempre male ma, appunto, è minore rispetto ad un altro male. Il presupposto della valutazione del papa è la debolezza del soggetto in questione che non riesce a seguire il cammino del bene. Che fare? Abbandonarlo? O chiedergli un cammino progressivo di allontanamento dal male cominciando dal cercare di evitare le colpe più gravi?

Già Giovanni Paolo II, nella esortazione apostolica “Familiaris consortio” aveva parlato di una “legge della gradualità” distinguendola accuratamente da una (supposta) gradualità delle legge. La legge di Dio non cambia. La conversione, però, non è un avvenimento puntuale ma un cammino con le sue tappe ed i suoi ritorni indietro. La Chiesa accompagna l’uomo in questo cammino, con rigore e pazienza. Qualcosa del genere aveva scritto, anni prima, un grande amico di Joseph Ratzinger, Hans Urs von Balthazar.

IN CONCLUSIONE

Il papa riconosce chiaramente il ruolo e anche un certo primato dell’oggetto nella determinazione della natura dell’atto morale. Richiama però a non sottovalutare il ruolo, complementare ma importante, delle circostanze e del lato soggettivo dell’azione. Bisogna domandarsi quanto il soggetto sia in grado di percepire pienamente la situazione morale nella quale si trova e guidarlo per un cammino progressivo di avvicinamento alla verità. La natura dell’atto non cambia ma la responsabilità soggettiva per esso può variare. Si apre qui lo spazio dell’accompagnamento pastorale dell’uomo verso la verità.

Con amicizia,

Giovanni Onofrio Zagloba

Roma, 9 novembre 2010



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